Consulenze

Luoghi in cui è vietato cacciare

Vi sono dei luoghi in cui è vietato cacciare (artt. 21 e 30 LC) in modo assoluto

e sono i seguenti.

- Giardini e parchi pubblici o privati urbani, aie, cortili, pertinenze di

fabbricati rurali, terreni adibiti ad attività sportive, fondi chiusi.

Dalla caratteristiche comuni a questi luoghi si comprende che deve trattarsi

di luoghi perfettamente individuabili per essere recintati (parchi, giardini) o per

la loro stessa struttura muraria (aie, cortili), e per di più inerenti ad un edificio

civile o rurale.

Un giardino o un parco privato devono essere la pertinenza di un fabbricato

di abitazione, un orto deve essere la pertinenza di un fabbricato civile o rurale,

una concimaia deve essere vicina alla stalla. Non rientra nel divieto un orto costruito

lontano dai fabbricati o un deposito di concime nei campi o un terreno

recintato che non abbia le caratteristiche di un parco e al cui interno non vi sia

una casa di abitazione.

Sono terreni adibiti ad attività sportive i campi da calcio, da tennis, da tiro a

volo, da golf, i poligoni e campi di tiro, ecc.

Sulla nozione di fondo chiuso si veda l’apposita voce.

Questi luoghi non sono soggetti a Tabellazione, sempre che la loro natura

sia palese e non equivoca. Un campo da golf deve essere tabellato, non tanto

per la sicurezza dei selvatici quanto per quella dei giocatori.

- Parchi nazionali, parchi naturali regionali, riserve naturali, oasi di

protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri di riproduzione di fauna

selvatica, parchi storici e archeologici.

Il legislatore ha fatto un po’ di confusione a cui ha rimediato nell’art. 31

LC. Da questo si comprende che i “parchi pubblici privati” sono solamente

quelli urbani e che oltre ad essi vi sono i Parchi nazionali e regionali.

Le foreste demaniali rientrano in questa categoria di luoghi ad eccezione

di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto superiore

per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), non presentino condizioni

favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica.

Come esposto alla voce Tabellazione tutti questi luoghi devono essere

chiaramente delimitati mediante tabelle che ne indichino con chiarezza il confine.

- Luoghi ove sono opere di difesa dello Stato (fortificazioni, stazioni radar,

ecc.) per cui è necessario il divieto, oppure beni monumentali. È sempre

necessaria la tabellazione.

- Specchi d'acqua ove si esercita l'industria della pesca o dell'acquacoltura,

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nonché nei canali delle valli da pesca. È sempre necessaria la tabellazione.

- La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di

migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi. È norma

che pecca di grave indeterminatezza perché non si comprende come un cacciatore

possa individuare i valichi in questione. Non è chiaro neppure se il divieto

vige solo per i periodi di migrazione o se sia permanente. Logica vorrebbe che

il divieto sia limitato ai periodi di migrazioni in atto. Anche la zona di rispetto

di mille metri, senz’altra indicazione, è assurda. Se si intendono mille metri

misurati in proiezione sulla carta geografica è normale che nella zona di rispetto

ricadano terreni che si trovano mille metri più in basso del valico; vale a dire

in luoghi da cui il cacciatore neppure può vedere che c’è un valico!

Per altri luoghi il divieto è correlato a particolari situazioni:

- Ovunque da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto (solo per la

caccia di selezione agli ungulati, fino ad un'ora dopo il tramonto).

-su terreni in tutto o nella maggior parte coperti di neve (nella zona Alpi

vigono diverse regole); norma anche questa indeterminata; che cosa vuol dire

in parte? Basta una buca a nord in cui è rimasta un po’ di neve per impedire la

caccia? Sicuramente no perché occorre una copertura tale da facilitare la ricerca

dell’animale in base alla sue tracce oppure che sia di ostacolo ad una normale

alimentazione del selvatico.

- in stagni, paludi, e specchi d'acqua artificiali in tutto o nella maggior parte

coperti da ghiaccio, terreni allagati da piene di fiume.

- nel raggio di cento metri da macchine operatrici agricole in funzione.

- sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili.

La conoscenza di questi luoghi e situazioni è importante perché la legge g)

dell’art. 21 vieta “il trasporto, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove

è vietata l'attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e

comunque nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio dalla presente legge

e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non

siano scariche e in custodia”. Formulazione bislacca di una disposizione semplice

che un legislatore che parla come mangia avrebbe così espresso: “nei luoghi

e tempi in cui non è consentito cacciare e a bordo di veicoli le armi lunghe

devono essere tenute scariche e in custodia”; e questa è la regola da osservare

ancor più sintetizzabile in “se non puoi cacciare, il fucile deve essere scarico

e in custodia”.

Si noti cha in una sua sentenza del 5 gennaio 2000 n. 30 la Cassazione ha

scritto

Va ribadito, in proposito, l'orientamento già espresso da questa Corte (Sez.

III, 7.8.1995, n. 2652, Macrì) e deve rilevarsi che il richiamo contenuto nella

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lettera g) dell'art. 21 della legge n. 157/1992 alla liceità del trasporto dell'arma

"all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria"

non opera nei luoghi precedentemente specificati alle lettere da a) ad e)

dello stesso art. 21, ove il divieto di caccia non si correla soltanto ad esigenze

di protezione della fauna selvatica ma è previsto a tutela di interessi ulteriori

(pubblica incolumità, conservazione e valorizzazione di equilibri ecologici, ripopolamento

e riproduzione di particolari specie faunistiche, esigenze militari

connesse alla difesa dello Stato, salvaguardia di beni monumentali o di rilievo

storico ed archeologico).

È una sentenza sbagliata sin dalla premessa perché la sentenza 2652 non dice

affatto ciò che ha compreso il giudice e perché non vi è alcun appiglio normativo

per distinguere fra situazioni venatorie e non venatorie; è una delle tante

interpretazioni creative della terza sezione. È stata poi rivista dalla Cassazione

nel 2008.

Purtroppo il legislatore ha usato a sproposito le parole porto e trasporto e

perciò è difficile dare un significato univoco alla norma che ha riunito due prescrizioni

aventi finalità diverse: la prescrizione che sui veicoli l’arma deve essere

scarica e in custodia è una norma rivolta a prevenire incidenti, tanto che

prevede anche l’ipotesi che il veicolo si trovi nell’abitato; la prescrizione relativa

agli altri luoghi ha lo scopo di evitare il bracconaggio. E che cosa si intende

per “custodia”? Se una scatola può essere utilizzata in auto, ben difficilmente

si può imporre ad un cacciatore di portarsela dietro per i boschi! È evidente

che sorgono notevoli problemi pratici. Chi arriva con l'auto sulla pubblica via e

vuole addentrarsi nel bosco con il fucile per cacciare, come fa a superare i 50

metri fra strada e bosco? Deve forse portarsi dietro per tutto il giorno la custodia?

E chi durante l'esercizio della caccia si trova davanti un'aia, e la deve attraversare

perché è l'unico varco nelle recinzioni, che cosa fa se non si è portata

con sé la custodia? Torna forse indietro e fa un giro di qualche chilometro?!

È indubbiamente una norma molto vessatoria che va ben oltre la sua utilità.

Sul piano pratico si è dovuto ammettere, per necessità di cose, che per custodia

si può intendere qualunque involucro, anche di stoffa leggera in cui

chiudere l’arma scarica. La legge del 1939 più intelligentemente, richiedeva

che l’arma fosse racchiusa “in una busta o altro involucro idoneo”.

Arma scarica è quella che non contiene cartucce né nel serbatoio fisso né

in camera di cartuccia; è consentito tenere il serbatoio mobile (caricatore) con

le cartucce al suo interno, ma esso deve essere estratto dall’arma.

A questo punto sorge spontanea la domanda: ma in quali condizioni è possibile

il porto di un’arma lunga per difesa o per tiro a volo o al bersaglio o per

tarare l’arma, quando non si può cacciare?

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La norma non vieta sicuramente di portare armi corte, mai qualificabili come

armi da caccia e quindi nulla vieta, se si ha licenza di porto di pistola, di

andare a sparare al bersaglio in un prato anche in tempo di caccia chiusa (ovviamente

senza farsi cogliere a puntare un capriolo!). Ma che dire di una carabina

cal. 22 che il legislatore ha espressamente escluso dal novero delle armi da

caccia? È vero che il legislatore ha fatto ciò perché riteneva tali armi destinabili

al bracconaggio e quindi troppo da caccia, ma quando si è posto il problema se

le carabine cal. 22 rientrassero o meno tra le armi detenibili senza licenza di

collezione ex art. 10 L. 110/1975, il legislatore, per contrastare ogni possibile

diversa interpretazione, ha stabilito che esse da caccia non erano. Di fronte a

queste illogicità, verrebbe voglia di affermare che il legislatore se lo è meritato

e che è del tutto lecito andare a sparare nel bosco, in tempo di caccia chiusa

con un’arma da bracconaggio, purché non ci si faccia sorprendere in atteggiamento

di caccia! Ma non è una interpretazione da consigliare; è chiaro che il

legislatore si è sbagliato!

Egualmente il legislatore si è sbagliato per il porto di fucili su veicoli; egli

non sapeva che la legge consente di dare la licenza di porto di fucile per difesa

personale, specie alle guardie di scorta a furgoni blindati; quindi si deve concludere

che il divieto di porto di armi lunghe cariche a bordo di veicoli privati

non riguarda chi è legittimato a portarle per difesa personale, sempre che non

sia in atteggiamento di caccia; ma quesro non può essere dedotto dal solo porto

dell’arma carica giustificabile da esigenza di difesa personale.

Per quanto concerne il porto in zone in cui non si può cacciare la regola generale

è quella sopra vista: dove non si può cacciare, niente armi cariche e fuori

custodia.

Unica eccezione è sicuramente quella relativa ai poligoni di tiro, in quanto

recintati ed attrezzati perché la stessa situazione dei luoghi dimostra che in essi

non è possibile cacciare. Si consideri del resto che nelle pertinenze di una abitazione

è sempre consentito portare armi e sparare, anche se in esse è vietato

cacciare

Circa la taratura delle armi essa potrebbe essere consentita con disposizione

regionale, all’interno delle zone addestramento cani. Non vi è però ostacolo

giuridico ad affermare che anche in aperta campagna si possa procedere alla taratura

se ciò avviene sotto il controllo di agenti accertatori i quali controllino

che non si commettano infrazioni di tipo penale. Le violazioni amministrative

consentono un certo margine di autonomia all’operatore; si pensi ad esempio al

vigile urbano che dirotti il traffico fuori della sede stradale per ovviare ad una

emergenza.

Boschi incendiati

L’art. 10 L. n. 353/2000 stabilisce un divieto di caccia nelle zone boscate i

cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco per dieci anni dopo l’incendio.

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Nel caso di trasgressione al divieto si applica una sanzione amministrativa non

inferiore a 207 e non superiore a 413.

Il termine soprassuolo è insensato; è ovvio che quando brucia un bosco,

bruciano le piante che ci sono sopra e non il sottosuolo!

Nella applicazione della norma si deve sempre considerare dopo alcuni anni

il cacciatore può non essere in grado di percepire che il bosco è bruciato e

quanti anni sono trascorsi dall’incendio; molto dipende dalle dimensioni degli

alberi bruciati, dalle opera di ripulitura effettuate, dal clima della zona. Vi è

sanzione solo se chiari elementi di fatto rendono evidente che vi è stato un incendio

da meno di 10 anni. Purtroppo questa è una valutazione difficile anche

per un esperto botanico. Si può pretendere che un cacciatore sappia valutare

quanto tempo hanno impiegato alcune specie botaniche a ricrescere?

Non è necessaria una formale individuazione dei terreni (TAR Lombardia,

9 aprile 2010 n. 1532).

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Edoardo Mori
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