Consulenze

Reati e Sanzioni Amministrative- Poteri degli agenti accertatori

La legge sulla caccia prevede infrazioni penali (art. 30) punite con

l’ammenda e/o l’arresto, dette con termine tecnico contravvenzioni.

Non prevede infrazioni punite con la multa e/o la reclusione, dette con temine

tecnico delitti, ma esse possono derivare dall’uso di armi (porto illegale,

lesioni colpose, omicidio colposo) o da condotte commesse in relazione alla attività

venatoria (resistenza, furto, danneggiamento, ecc.).

Contravvenzioni e delitti formano la più generale categoria dei reati,

Vi sono altre infrazioni alle norme venatorie che vengono punite solo con

sanzioni amministrative (art. 32); sono le violazioni amministrative.

Vediamo ora come bisogna comportarsi quando ci si vede contestare un

reato. A tutti può capitare di trovarsi la polizia sull’uscio di casa per un controllo

sulle armi o comunque di essere accusati in relazione al porto od uso di armi.

Le situazioni che possono presentarsi sono due: il controllo di polizia puro

e semplice per vedere quante e quali armi ci sono e se sono custodite bene e la

perquisizione vera e propria.

Nel caso di controllo amministrativo il funzionario chiede di poter controllare

le armi e le munizioni denunziate e ha il diritto di entrare in casa, di essere

accompagnato nel luogo ove sono le armi e di controllarne la consistenza. È

una operazione puramente amministrativa, per cui non è prevista neppure la redazione

obbligatoria di un verbale, che però di regola verrà redatto.

Questo controllo può sfociare perciò in un nulla di fatto, se nulla di irregolare

viene stabilito, oppure trasformarsi in una operazione di polizia giudiziaria.

Può accadere infatti che il controllo porti all’accertamento di un presunto

reato e vi può essere o meno necessità di procedere al sequestro del cosiddetto

corpo di reato.

Se non vi è necessità di sequestro il funzionario, che diventa agente od ufficiale

di polizia giudiziaria, dovrà comunicare all’interessato che procede ad indagini

a suo carico, indicando il reato ipotizzato, invitarlo a nominare un difensore

di fiducia e redigere un verbale in cui raccoglie la elezione di domicilio e

la nomina del difensore. Può rinviare la redazione del verbale ad un momento

successivo invitando l’interessato nei propri uffici.

Se vi è invece necessità di sequestro il relativo verbale deve essere redatto

sul posto, salvo gravi motivi di impedimento.

Se le operazioni si limitano a quanto detto finora, l’interessato non ha diritto

a far intervenire un difensore.

Talvolta però chi opera può avere interesse ad interrogare l’indagato; ciò è

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consentito solo se l’indagato non viene arrestato e deve essere obbligatoriamente

convocato il difensore di fiducia o, se non nominato, quello di ufficio

(detto per inciso, poi l’indagato dovrà pagarlo anche se perfettamente innocente!).

Nel corso di questa operazione di polizia si innesta quasi sempre una operazione

di perquisizione che può avvenire o per iniziativa di chi ha accertato un

reato oppure su mandato scritto del pubblico ministero che indaga su di un reato.

Si ricorda che la perquisizione della abitazione o di un veicolo è una perquisizione

domiciliare o locale; la perquisizione della persona, dei suoi abiti, di

contenitori che abbia con sé, è una perquisizione personale. La P.G. può procedere

a perquisizioni senza ordine del PM solo in flagranza di reato; non

quindi per il sospetto che sia stato commesso un reato (art. 352 CPP).

Ricordo che chi NON ha compiti di PG non può procedere al sequestro delle

armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, ma può solo richiedere solo

a chi è in visibile possesso di armi o arnesi atti alla caccia e solo se lo stesso è

in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile

per uso di caccia, del tesserino regionale, del contrassegno della polizza di

assicurazione nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata. Il soggetto

controllato non è tenuto a mostrare il contenuto di borse o tasche, salvo che da

esse sporga la coda di un fagiano!

In materia di armi vi è l’art. 41 T.U. Leggi di P.S., norma incostituzionale

(salvo che per la Corte Costituzionale!) la quale, unico residuo della dittatura,

consente di eseguire una perquisizione solo per il sospetto della sussistenza di

un reato in materia di armi; in parole povere consente alla polizia di fare una

perquisizione, magari in base ad una informazione anonima o perché un vicino

di casa ha sentito il rumore del tappo dello spumante! Di recente però la Cassazione

si è un po’ ravveduta ed ha scritto che è configurabile l'esimente della

reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza

ad un pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il suo domicilio

una perquisizione finalizzata alla ricerca di armi e munizioni, fondandosi

su meri sospetti e non sulla base di un dato oggettivo certo, anche solo a livello

indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel luogo in cui viene eseguito

l'atto. *Cass., 18 novembre 2009, n. 48552.)

Ad ogni modo nel momento in cui si deve procedere a perquisizione, chi

procede deve informare il perquisendo che egli ha diritto di nominare un difensore,

di conferire con lui al telefono riservatamente e di farlo intervenire. Quindi

deve attendere l’arrivo del difensore che annunzi di arrivare in tempo ragionevole

(ovvio che dovrà essere un avvocato della zona!). Se l’avvocato scelto

non è disponibile, l’indagato ha tutto il diritto di cercarsene un’altro che lo sia

o di far presenziare una persona di fiducia come testimonio.

Chi procede deve anche dichiarare quale tipo di prova od oggetto stia cer212

cando perché se perquisisce per ricercare armi, non può mettersi a sfogliare la

corrispondenza, dove di certo un fucile non può essere nascosto.

Il difensore che presenzia alla perquisizione ha diritto di interloquire e di

chiedere il rispetto delle norme di legge. Della perquisizione deve essere redatto

verbale. Di solito, se non viene trovato nulla, poco importa ciò che vi si scrive,

salvo che far constatare eventuali danni arrecati; se viene trovato qualche

cosa di utile, deve essere redatto anche il verbale di sequestro. In uno di questi

due il difensore può far inserire sue osservazioni, quali eccezioni di nullità o

contestazione delle norme giuridiche da applicare.

Ed infine l’ipotesi più spiacevole: l’arresto in flagranza di reato. In tal caso

l’arrestato ha il diritto a che venga subito informato il suo difensore di fiducia

(anche in questo caso può indicarne più di uno fino a che non trova quello disponibile

subito). Il difensore può intervenire subito o, se ciò non è possibile,

può incontrare l’arrestato in carcere prima dell’interrogatorio da parte del giudice,

al fine di consigliarlo (e se non lo facesse, meglio cambiarlo subito!). Devono

essere informati anche i familiari dell’arrestato.

Un caso particolare è quello del controllo dell’autovettura; in pratica la situazione

non è diversa da quella descritta, ma devo ricordare che non si è affatto

tenuti a dichiarare spontaneamente che si portano o trasportano armi così innescando

controlli di esito imprevedibile. Anzi, è cosa saggia (anche per prevenire

furti) che l’arma o il suo contenitore non siano in bella vista … e saper

affrontare il controllo senza tremore alle mani e sguardo sfuggente, come se si

fosse colpevoli!

Vediamo ora come deve comportarsi l’indagato, specialmente se è innocente

e quindi sprovveduto e quindi propenso a credere che la sua innocenza sia

così ovvia da non aver bisogno di dimostrazione. Diceva invece un famoso giurista

“se mi accusano di aver rubato il duomo di Milano, io per prima cosa

scappo in Svizzera”. Purtroppo la maggior parte degli innocenti sono specialisti

“nel darsi la zappa nei piedi” e nel giustificarsi con scuse peggiori della verità,

di solito coinvolgendo nella grana i migliori amici (del tipo: non ho denunziato

la pistola perché il mio amico maresciallo mi ha detto che potevo fare con tutto

comodo).

Quando si svolge una attività così temeraria e pericolosa come quella di detenere

armi, peggio se inattive, occorre premunirsi con ogni mezzo e non pensare

scioccamente “sono una persona onesta che non fa nulla di male e quindi

non mi verranno mai a cercare”. Dice un proverbio che la fortuna è cieca, ma la

sfiga ci vede benissimo ed è meglio essere preparati a tutto. Ricordarsi sempre

che vi sono legioni di figli pronti a passare sui corpi delle loro madri (… uno

più, uno meno”!), pur di compiere una operazione di polizia che migliora le loro

statistiche o che va sul giornale.

È perciò necessario prima di tutto di essere il più possibile in regola. Per fa213

re ciò bisogna sapere bene ciò che è consentito e ciò che è vietato.

Ma non basta: siccome i sullodati figli hanno in materia opinioni tanto più

consolidate quanto più sbagliate, bisogna essere sicuri del fatto proprio ed essere

pronti a dimostrarlo. Non è male avere in casa o in auto qualche scritto che

sostenga quanto si dice o che almeno faccia sorgere qualche dubbio nella mente

di chi procede.

In caso di contestazioni la regola da seguire è di dire il meno possibile, salvo

ciò che è strettamente necessario per spiegare perché si ritiene di essere dalla

parte della ragione. Se non si è sicuri è senz’altro meglio non dire nulla e attendere

l’evoluzione dei fatti. Ad esempio siete andati nella casa di campagna

con il vostro fucile e vi contestano di non aver denunziato il trasferimento. È

ovvio che sarebbe suicida raccontare che siete lì con il fucile già da un mese,

quando si ha il diritto di non dire nulla e di lasciare poi che l’avvocato racconti

che voi eravate lì da un mese, ma che il fucile eravate andato a prenderlo la sera

prima! Oppure vi trovano un coltello in tasca: se avevate un chiaro motivo

per portarlo (siete andati a funghi e avete i porcini nel cesto) è giusto dirlo subito;

se non avete un motivo chiaro, meglio tacere perché se nessuno vi chiede

nulla sarà ben difficile che poi il P.M. possa dimostrare che non avevate quel

giustificato motivo che l’avvocato saprà senz’altro scoprire (fermo restando

che quando si può fare oblazione, questa costa sempre dieci volte meno

dell’avvocato; ma spesso una condanna in materia di armi può pregiudicare il

rilascio di licenze di PS per anni e la confisca delle armi).

Altra regola fondamentale è di non sottoscrivere nessuna dichiarazione se

non dopo essersi consigliati con il proprio difensore. Nel nostro diritto tutte le

dichiarazioni orali che un indagato fa non possono essere utilizzate contro di

lui. Quelle scritte possono essere utilizzate se si tratta di spontanee dichiarazioni

firmate oppure se sono fatte in presenza del difensore. In caso di malaugurato

arresto, per quanto spiacevole sia la situazione, non bisogna lasciarsi prendere

dall’ansia di compiacere il PM con confessioni fiume in cui si racconta che

anche moglie e figli sapevano benissimo che l’arma non era denunziata: spesso

sono meglio due o tre giorni di carcere all’inizio, che due o tre anni alla fine!

La propria difesa deve tener conto dell’esigenza di lasciare il più possibile di

porte aperte all’avvocato per poter adattare i fatti al diritto e viceversa.

Da quanto detto è evidente che è molto opportuno avere già le idee chiare

sul nome dell’avvocato da poter nominare senza indugio in caso di problemi;

avvocato che dovrà essere un penalista. Se si ha molto a che fare con le armi,

potrebbe non essere una cattiva idea quella di sottoscrivere un’assicurazione

per le spese legali, con libertà di scelta del difensore (attenzione, le clausole

possono essere molto limitative in caso di delitto).

Spesso in caso di sequestro di armi ci si dovrà porre il problema se sia o

meno opportuno ricorrere contro il sequestro. La cosa può essere opportuna so214

lo se vi è alla base del problema una questione di diritto: una bella memoria

ben documentata e che spiega ai giudici del tribunale del riesame quali sono le

norme da applicare, può essere risolutiva e “spezzare le reni” al P.M. che si è

fidato della cultura giuridica del commissario di P.S. Se invece vi sono questioni

di fatto sul tipo di armi, loro efficienza, o simili, è inutile ricorrere perché

il tribunale non avrebbe gli elementi sufficienti per decidere e troppo spesso

non ha alcuna fiducia nelle perizie di parte.

Di fronte ad una denunzia ingiusta da parte delle forze di polizia è sempre

consigliabile di inviare al PM una breve e concisa memoria in cui si espongono

le proprie ragioni. È più probabile che gli atti vengano letti; senza la memoria

verrebbero inseriti nella macchina giudiziaria, il capo di imputazione verrebbe

formulato da qualche agente di PG che certo non si fa venir dubbi sulle ragioni

dei suoi colleghi, e il cittadino si trova condannato con un decreto penale senza

che mai un giudice abbia letto le carte!

Non mi soffermo a parlare di come dovrebbe comportarsi l’indagato colpevole

perché esso, anche se ha agito senza intenti criminali, ma magari solo per

passione, deve ringraziare solo sé stesso e la sua stupidità per non essersi astenuto

dal commettere un reato e per non aver fatto tutto ciò che è necessario per

non essere scoperto!

Per finire, e per comune consolazione, ricordo quelle massime di antica

saggezza secondo cui è meglio un brutto processo che un bel funerale e che è

peggio essere condannato dal medico che da un giudice.

Dopo la denunzia da parte della polizia giudiziaria gli atti passano al PM il

quale può chiedere l’archiviazione, se si è convinto che il denunziato è innocente

oppure chiedere al GIP l’emissione di un decreto penale oppure citare a

giudizio avanti ad un giudice del Tribunale.

A questo punto il cittadino, divenuto imputato, può scegliere fra richiedere

l’oblazione, se il reato lo consente, oppure il patteggiamento o, in certi casi, il

giudizio abbreviato. Non vi è sostanziale differenza fra accettare il decreto penale

o fare patteggiamento, salvo che per il patteggiamento occorre un difensore

di fiducia o d’ufficio da retribuire; non si pagano spese processuali e il reato

si estingue dopo 5 anni per i delitti e dopo 2 anni per le contravvenzioni. Chi

vuole opporsi al decreto penale e affrontare il giudizio, normale od abbreviato,

deve presentare opposizione al decreto penale entro 15 giorni dalla notifica.

Con l’opposizione si può chiedere di essere ammesssi alla oblazione.

Fare oblazione significa pagare un importo fisso, oltre a poche decine di euro

di spese. Si può fare oblazione per tutti reati puniti con la sola ammenda e

per quelli puniti alternativamente con l’arresto o l’ammenda. Nel primo caso

l’importo da pagare è pari a un terzo della pena massima; nel secondo caso è

pari alla metà della pena massima. (art. 162 e 162 bis C.P.).

Non si può fare oblazione per quelli puniti congiuntamente con l’arresto e

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l’ammenda.

Sulle formalità per l’opposizione è opportuno chiedere alla Cancelleria del

PM competente che dirà l’importo delle spese e quello dell’eventuale deposito

di somme. Se è già stato messo il decreto pernale, occorre presentare opposizione

al GIP e in esso richiedere di essere ammessi all’oblazione (art. 141 d.att.

C.P.P.)..

Recidiva e continuazione

La recidiva è la situazione regolata dal diritto penale in cui si trova chi, dopo

essere stato condannato per un delitto con sentenza definitiva, commette ulteriori

delitti (art. 99 C.P.) e può subire un aggravamento della pena. Non si

tiene conto delle contravvenzioni.

Purtroppo però i legislatore, tanto per fare un po’ di confusione, ha previsto

all’art. 32, lett. a LC., delle pene accessorie limitatamente alle ipotesi di recidiva

di cui all’art. 99 secondo comma n. 1 C.P., frase che crea due problemi interpretativi:

1) L’ipotesi che ci sia una recidiva per le contravvenzioni nel diritto penale

non esiste. A voler essere molto comprensivi verso le debolezze del legislatore

si può ritenere che egli abbia usato questa bislacca formulazione volendo semplicemente

richiamare la condotta indicata nel nr. 1 dell’art. 99.

2) Il nr. 1 dell’art. 99 C.P. definisce la cosiddetta recidiva specifica che si

ha quando chi ha già commesso un delitto ne commette dolosamente un secondo

della stessa indole (ad es. chi è già stato condannato per rapina commette

un furto o un’altra rapina, chi è stato condannato per lesioni commette altre

lesioni o un omicidio. Questo concetto, abbastanza comprensibile in relazione

ai delitti (art. 101 C.P.), diviene inafferrabile quando si parla di contravvenzioni

in cui, come è noto non si distingue neppure fra dolo e colpa e dove quindi

non si può parlare di indole.

Perciò la norma può essere intesa (interpretazione che sicuramente attirerebbe

molto la terza sezione della Cassazione) sia nel senso che ogni contravvenzione

alla legge venatoria dimostra l’indole antiambientalista del reo per cui

è recidivo, ad esempio, anche chi una volta ha detenuto un animale imbalsamato

non consentito e la volta successiva caccia sparando da un veicolo, sia nel

senso che bisogna anche stabilire se la condotta sia riconducibile ad un comportamento

doloso del soggetto, volto a violare consapevolmente la normativa

venatoria.

Questa pare la tesi più ragionevole e l’unica che può spiegare il motivo per

cui i legislatore non ha semplicemente scritto “chi già condannato per una contravvenzione

prevista nell’art. 30 LC commette altra contravvenzione punita a

norma dello stesso articolo, è soggetto...ecc.”

In relazione alla sanzioni amministrative, nella legge non si parla di recidiva,

ma di violazione nuovamente commessa. Nella tabella abbiamo usato

216

l’espressione “ripetizione della violazione”. Ora il D. L.vo 30 dicembre 1999 n.

507 la chiama reiterazione.

La continuazione (art. 81 C.P.) si ha quando un soggetto con una stessa

azione viola più norme di legge (ad es. detenzione di arma non denunziata e

clandestina) oppure quando un soggetto compie più reati in attuazione di un

medesimo disegno criminoso; tipico esempio quello di chi decide di darsi al

bracconaggio e quindi porta un’arma senza licenza, usa mezzi di caccia vietati,

uccide specie protette sia che lo faccia in un solo giorno, sia che continui a lungo

finché non viene scoperto. In questi casi egli viene punito con la pena prevista

per il reato più grave, aumentata al massimo fino a tre volte. Questa regola

si può applicare anche se il reo è già stato condannato per alcuni dei reati da

unire sotto il vincolo della continuazione.

In relazione alle infrazioni amministrative si configura la continuazione

mediante una condotta unica, ma non quella mediante condotte ripetute, salvo

che in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria (art. 8 L. 689/1981).

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Edoardo Mori
Con la collaborazione dell'avv. Andrea Antolini

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