Sentenze

Il reato di stalking alla luce della recente sentenza Cass. Pen. Sez. V, 16 dicembre 2015, n. 49613.

Il delitto di atti persecutori è stato introdotto nel codice penale con la novella operata dal D.L. 23 febbraio 2009 n.11 mediante l’inserimento dell’art. 612-bis, disposizione che così recita nel suo testo vigente: I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque (2) anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. [II]. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (3). [III]. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. [IV]. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. (4). Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Sin dalla sua entrata in vigore la fattispecie di reato in esame è stata pesantemente criticata per l’indeterminatezza della condotta e dell’evento descritti: in particolare ci si chiedeva se dovevano essere puntualmente dimostrati i singoli episodi di minaccia e molestia collocandoli in modo preciso dal punto di vista spaziale e temporale nonché se il perdurante stato d’ansia o paura o il timore per la propria incolumità dovesse essere provato attraverso riscontri medici oggettivi. In ogni caso, da subito il reato di atti persecutori è stato ricondotto nell’alveo dei reati abituali, per i quali era necessaria la dimostrazione di almeno due condotte di minaccia e molestia reiterate nel tempo (cfr. Cass. Sez. V, 21 gennaio 2010, n. 6417). La sentenza in commento si pone sul solco della precedente giurisprudenza tuttavia sembra, a parere di chi scrive, che il fondamentale principio di determinatezza della norma penale venga ancora una volta violato. In particolare, la pronuncia in oggetto ha ribadito, con riguardo alla condotta di atti persecutori, la natura abituale del reato anche se è sufficiente la dimostrazione della stessa non in modo preciso e puntuale con riferimento alle date ed ai luoghi di ogni singolo episodio bastando una semplice collocazione di massima degli stessi per assicurare la difesa dell’imputato (sul punto viene altresì richiamata la sentenza Cass. Sez. V, 25 ottobre 2012 n. 7544). Anche il regime probatorio relativo all’evento del delitto di stalking, ossia la dimostrazione del perdurante stato d’ansia e timore, appare alquanto largheggiante essendo sufficienti le semplici dichiarazioni della persona offesa e la descrizione delle condotte assunte da quest’ultima a seguito dell’operato del soggetto agente per ritenere provato l’effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. Quindi non serve alcuno stato patologico conclamato e medicalmente certificato della presunta persona offesa ma sono ritenute sufficienti le semplici dichiarazioni della vittima per ritenere dimostrata la condotta in capo all’imputato. Francamente si auspicava che la giurisprudenza desse contorni più nitidi alla già non proprio felice formulazione del reato data dal legislatore, tuttavia pare proprio che anche la citata pronuncia non faccia buon governo dei principi generali del diritto penale, tra cui rientra quello di precisione e determinatezza della fattispecie incriminatrice e l’in dubio pro reo.

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Edoardo Mori
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